Si potrebbe pensare, a prima vita, che don Gréa abbia fallito su tutta la linea. Le costituzioni fisate per l’istituto nel 1908, per sette anni – a mo’ di esperimento – ne modificano profondamente l’intento. Scrive al cardinal Vivès, che, pur sottomettendosi, non gli può nascondere che considerava come “abolita nei suoi punti essenziali” l’opera alla quale si era dedicato per tutta la vita2 . Nel 1912, tre anni prima del termine fissato, le nuove costituzioni furono approvate definitivamente.
Ai suoi figli, che si sentivano spaesati per questo nuovo corso delle cose, concesse la libertà di lasciare i propri confratelli e di riprendere a seguire, coscienziosamente le rigorose ed originali osservanze. Questo non sortì effetto alcuno. Mai dubitò della rinascita dell’istituto dei canonici regolari “nella sua integralità”, con “la sue sante discipline, i suoi tradizionali digiuni, le sue sante veglie e l’incessante preghiera liturgica distribuita lungo le ore del giorno e della notte”, rinascita “la cui aurora – diceva – segnerà l’ora del mio Nunc dimittis”3. Non gli fu dato vederne l’aurora. Alla sua morte, nulla faceva prevedere che questa fosse prossima. Unico risultato della sua lunga vita: un totale fallimento. Invece no, non fu uno scacco.
Ma contrariamente a quanto aveva, in verità, pensato ebbe un esito positivo, come, lungo l’arco dei secoli, quella di fondatori di altri ordini. San Bernardo, che sognava un ordine di laici dediti al lavoro manuale, ebbe come risultato la fondazione dell’ordine dei benedettini, come oggi l’ammiriamo nella storia. “Come avrebbe potuto immaginare che un giorno i suoi monaci sarebbe diventi apostoli, missionari, civilizzatori, formatori, editori delle opere dei Padri della Chiesa!
Quale sorpresa sarebbe stata la sua nel vedere un abate mitrato del medioevo, che, simile ad un barone feudale, sarebbe diventato un signorotto e un uomo di Stato…
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