(di + José R. Carballo | del 30 Gennaio 2021)
Riproporre oggi la domanda sul senso della fedeltà e della perseveranza dei consacrati e consacrate, significa riprendere le fila — attraverso la ricchezza del magistero dal concilio Vaticano II a oggi — sul tema dell’identità e vocazione alla vita consacrata nella Chiesa: filo conduttore anche del dibattito odierno sorto attorno ai problemi e alle difficoltà dei consacrati. Identità e vocazione che non sono “a scadenza”. La riflessione del magistero ha approfondito la relazione tra fedeltà e perseveranza assunta quale chiave d’interpretazione di un’autentica esperienza della vita consacrata: dall’ascolto della Parola di Dio, alla vita fraterna in comunità, al dono dei consigli evangelici, al senso di una missione di vita…; esperienza sintetizzata nell’espressione «perseveranza nella fedeltà» (Redemptionis donum, 17).
Il dono della fedeltà si manifesta nella gioia della perseveranza: la gioia traspare nel volto dei consacrati e consacrate. Il magistero di Papa Francesco è particolarmente attento alla gioia. Evangelii gaudium, Amoris lætitia, Gaudete et exsultate, gli incipitenunciano un’esigenza evangelica decisiva nella vita dei discepoli: l’urgenza della gioia, che è gioia del Vangelo, letizia dell’amore, esperienza gioiosa della comunione con il Signore Gesù. Rivolgendosi ai consacrati il Papa continuamente li invita a testimoniare gioia: «Questa è la bellezza della consacrazione»! La gioia per Papa Francesco non è inutile ornamento, ma è esigenza e fondamento della vita umana. Nell’affanno quotidiano, ogni uomo e ogni donna tende a giungere e a dimorare nella gioia con la totalità dell’essere, la gioia è motore della perseveranza. «La gioia nasce dalla gratuità di un incontro! […] E la gioia dell’incontro con Lui e della sua chiamata porta a non chiudersi, ma ad aprirsi; porta al servizio nella Chiesa. San Tommaso diceva «bonum est diffusivum sui»: “Il bene si diffonde”. E anche la gioia si diffonde. Non abbiate paura di mostrare la gioia di aver risposto alla chiamata del Signore, alla sua scelta di amore e di testimoniare il suo Vangelo nel servizio alla Chiesa. E la gioia, quella vera, è contagiosa; contagia… fa andare avanti» (Francesco, Incontro con i seminaristi, i novizi e le novizie in occasione dell’Anno della fede, 6 luglio 2013).
Da Aggiornamenti Sociali
(di Giacomo Costa, sj | Gennaio 2014)
L’insistenza sulla gioia – il termine ricorre 59 volte in Evangelii Gaudium – ha il carattere del “lieto annuncio” che costituisce il Vangelo, che dà vita alla Chiesa e rappresenta il contenuto di ogni azione evangelizzatrice (vecchia o nuova). Intende cioè riconnettere la Chiesa con l’esperienza fondamentale da cui ha origine, quella della Pasqua…
Certo, la Chiesa tutta intera si fonda sull’esperienza pasquale, ma un conto è saperlo, un conto è metterlo in pratica. Bisogna chiarire quindi subito, a scanso di facili equivoci, lo spessore della gioia di cui egli parla: non un sentimento superficiale ed effimero di euforia o piacevolezza, ma l’atteggiamento di chi sa che la sofferenza e la morte esistono, anzi, li ha attraversati sperimentando che la vita è più forte. Qui ognuno è invitato a mettere in campo le proprie esperienze personali: stupisce sempre vedere persone che nelle situazioni più difficili e impensabili riescono ad accogliere, affrontare e vivere in profondità quello che sono.
Il contrario di questa gioia non è il dolore, ma «una cronica scontentezza», «un’accidia che inaridisce l’anima», un «cuore stanco di lottare» che «non ha più grinta» (n. 277 passim). Questa tristezza è ciò che avvelena la vita di molte persone e soprattutto è agli antipodi di ciò che Dio desidera per ogni uomo. Aver gustato la vera gioia – ed è questo il contenuto più profondo dell’esperienza di fede – permette di smascherare l’insoddisfazione profonda di ogni chiusura in se stessi, per quanto confortevole.
…Dio vuole la gioia e la felicità dell’uomo, e la vuole per tutti. «Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché “nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore”» (n. 3). Ciò richiede effettivamente un atto di fede che sfida tante consuetudini e convinzioni profonde, per lo più implicite, in particolare nel nostro mondo del disincanto postmoderno. Il capitolo sulle «Tentazioni degli operatori pastorali» (nn. 76-109) è molto concreto nel dare indicazioni in questa direzione, sempre nel registro del sostegno e dell’accompagnamento spirituale.