Don Gréa e il Vaticano II
Ricorrendo l’11 ottobre 2002 il 40° anniversario del Concilio Vaticano II (1962 –2002) mi è parsa cosa opportuna riproporre all’attenzione di coloro che si sforzano di tenere alto il pensiero del Gréa, in quanto suoi continuatori, come di quanti, a qualsiasi titolo ne vogliano venire a conoscenza, alcune sue intuizioni sulla Chiesa e sulle Liturgia. Intuizioni che, come si cercherà di evidenziare, sono fortemente anticipatrici di quanto fissato e sancito dal Concilio stesso.
Due sono gli scritti che presentano il ricco e quasi profetico contenuto dell’uomo della Chiesa e di Chiesa che fu don Adriano Gréa, restauratore dell’Ordine Canonicale in Francia sul finire del secolo XIX: quello sulla Chiesa “L’Eglise et sa divine constitution” (1885) e quello sulla liturgia “La Sainte Liturgie” (1909).”L’Eglise” di don Gréa è uno di quei libri, come giustamente fa notare il P. Bouyer nella prefazione alla nuova edizione (1965), che sfuggono alla loro epoca e che sono suscettibili di essere meglio capiti alla distanza di qualche generazione. Anche se già a suo tempo Mgr. De Segur, parlando di don Gréa come liturgista, diceva. “il padre Gréa deve essere annoverato fra i due o tre uomini più eminenti di Francia; per la sua scienza e la sua virtù gli darei volentieri il primo posto…”E in un’altra lettera scriveva: ” Il Padre Gréa è il più grande liturgista di Francia…”. Fu soprattutto “L’ Eglise” quella che suscitò fin dal suo apparire i consensi più calorosi e quella che si impone ancor oggi al nostro studio e alla nostra ammirazione.
Fu in primo luogo l’episcopato ad essere colpito da questa opera nella quale era contemplato in maniera del tutto nuova il mistero della Chiesa universale e nella quale si parlava, come mai prima era stato fatto, dell’episcopato e del mistero della Chiesa particolare. Vescovi e cardinali si trovarono unanimi nell’affermare che il libro del Gréa era unico nel suo genere, che nulla di simile era mai stato scritto sulla Chiesa e nell’auspicare che fosse conosciuto dai laici e diventasse familiare ai sacerdoti. Il Card. Mermillord, in una lettera a don Gréa, scriveva “Lei spande a profusione nel mistero della gerarchie una luce pacifica, che riunirà le anime nell’unità, perché ella espone ogni verità con chiarezza, con scienza e con carità” (lett. 11 febbraio 1885).Il P. de Lubac in un articolo pubblicato da “La Croix” il 20 nov. 1965, faceva notare, riferendosi alla nuova edizione dell’opera del Gréa, curata dal P. Gaston Fontaine, che sia “arrivata un po’ tardi; perché nelle mani dei Padri conciliari, negli anni in cui si preparava la Costituzione “Lumen Gentium”, avrebbe senz’altro contribuito a dissipare alcuni timori. Riconosciamo comunque che il libro ci giunge a tempo opportuno. Del resto, quando si tratta di un grande libro, di un classico, il momento è sempre opportuno”.Il merito principale di quest’opera è espresso egregiamente dal P. Bouyer nella prefazione alla nuova edizione: “Tutto quel senso del carattere organico e quasi personale della Chiesa, che si è sviluppato da due o tre generazioni trova qui…il suo più perfetto compimento. Nel medesimo tempo però, la peculiarità più sorprendente di don Gréa è che egli non sviluppa affatto questi aspetti in opposizione con gli aspetti istituzionali e più precisamente gerarchici. E’, invece, proprio l’idea di gerarchia, di ordine sacro, quello che domina la sua sintesi.
Il suo merito è quello di saperne dare una nozione così profonda e vivente, che appare subito evidente che la gerarchia, ben compresa, lungi dal comprimere gli elementi viventi della Chiesa, è ciò che dà loro, con la coerenza esteriore, la continuità intima e soprannaturale”.La sua concezione della gerarchia, quale elemento essenziale nel mistero della Chiesa e questa considerata come l’inizio e la ragione di ogni cosa, che nasce dalla Trinità come il Cristo del quale è il corpo e il prolungamento e che della Trinità riflette e riproduce l’ordine e le relazioni; i rapporti fra il Cristo e la Chiesa universale, cioè il Cristo e il collegio episcopale; i rapporti fra la Chiesa universale e quella particolare, nonché la sua concezione sulla collegialità episcopale, il rapporto tra il vescovo e il suo presbiterio; la sua concezione profondamente liturgica della Chiesa, al centro della quale campeggia il mistero eucaristico; il posto che riserva allo stato religioso in seno alla Chiesa – ciò che vi è di più sostanziale e di più completo nella Chiesa – non possono non richiamare alla mente quanto espresso dal Concilio Vaticano II, soprattutto nella “Lumen Gentium” e far vedere, pertanto, nel Gréa uno straordinario anticipatore e forse anche profeta dello stesso Concilio. Così, infatti, si esprime il Gréa stesso nell’ “Eglise”: “Il secolo XIX è stato quello della Chiesa universale e del Papato… – il Gréa aveva preso parte al Concilio Vaticano I come teologo del suo vescovo – il XX secolo sarà quello della Chiesa particolare; è venuta l’ora di dimostrare agli occhi del sacerdote e dei fedeli la vera missione dell’episcopato, in unione con il Capo supremo della Chiesa”.Il Congar in una lettera al Superiore Generale dei C.R.I.C. affermava a proposito dell’opera del Gréa: “Da tempo conosco e apprezzo questo libro, ma non avevo mai visto prima d’ora come preparasse il Vaticano II dal punto di vista dell’episcopato”. “E’ un libro che è ancora lontano dall’aver percorso tutta la carriera che deve essere la sua”, scrive il Bouyer.
Il de Lubac è del parere che siamo ben lontani dall’averlo esaurito. Per una storia della ecclesiologia o per chi voglia approfondire la dottrina relativa del Vaticano II riguardo alla Chiesa e all’ Episcopato in particolare, non può non conoscere questa opera del Gréa.Il P. Rondet (S.J.), riferendosi a questa opera così scriveva: “Opera celebre, di cui la Costituzione “Lumen Gentium” è come un’eco…opera classica”, al quale fa eco il P. Bouyer: “il Vaticano II con i suoi decreti sulla Chiesa e l’ecumenismo, rende il pensiero di questo precursore più attuale che mai”.Altro significativo frutto dello spirito innovatore e anticipatore del Gréa è il suo testo sulla liturgia: “La Sainte Liturgie”.La preghiera liturgica è, per il Gréa, un elemento così intimamente connesso con il mistero della Chiesa e così essenziale alla sua vita, che senza la preghiera liturgica non esisterebbe la Chiesa, come al di fuori della Chiesa non avrebbe senso parlare di preghiera liturgica. Tanto che nel Gréa la dottrina teologica dell’ufficio divino scaturisce in maniera organica ed articolata dalla sua teologia sulla Chiesa.Per lui l’ufficio divino anche più solenne è e rimane essenzialmente “il culto offerto a Dio dal popolo cristiano”.
Egli ha sempre fermamente creduto che una celebrazione accurata e solenne ed orante da parte dei pastori non poteva che edificare il popolo cristiano, creare attorno ad esso una vera ed intensa atmosfera di preghiera, portandolo così ad una partecipazione sentita e sempre più attiva. Così si esprimeva in una sua lettera circolare: “Teniamo alto questo sublime vessillo della preghiera pubblica, una volta celebrata in ogni Chiesa e ora trascurata!” La liturgia dal Gréa viene vista come attività che, prendendo consistenza in seno alla vita trinitaria, che non è staticità e immobilismo, ma palpitazione perenne e sempre nuova di vita: “Dio canta a se stesso un inno eterno”, si riproduce quale eco nel creato, il quale nelle mani dell’uomo diventa strumento, che questi deve far vibrare all’unisono con quel canto eterno che scaturisce dal seno del Padre.Canto momentaneamente interrotto dal peccato dell’uomo, ma riportato all’originaria armonia dall’opera del Cristo e in Lui e nella Chiesa innalzato ad una dignità e ad una eccellenza incomparabilmente superiore alla sua prima condizione.
Nel Cristo, infatti, quel canto eterno scende nelle nostre strade e la sua umanità è ora il tempio nuovo nel quale esso risuona e che raggiunge, nell’offerta sacrificale sulla Croce e nella Risurrezione, il culmine della sua intensità e la sua più perfetta realizzazione.Ma, poiché, per il Gréa, il mistero di Cristo è il mistero della Chiesa, il suo Corpo mistico, il Cristo totale prolungato e diffuso, è allora in essa e per mezzo di essa che il Cristo continua la lode e l’adorazione del Padre. Il Gréa vede in questa preghiera di lode e di adorazione che, nel Cristo, l’umanità redenta rivolge a Dio per mezzo dello Spirito, il fine della creazione e di tutto il piano salvifico di Dio, lo scopo fondamentale dell’esistenza della Chiesa adesso e per l’eternità. E’ “la consumazione e il fine di tutte le cose di quaggiù”. Ma dove e come tutto questo movimento storicamente si concretizza? Nel costituirsi della Chiesa particolare. Intuizione, senza dubbio, più originale del pensiero ecclesiologico del nostro.La Chiesa per il Gréa non è una universalità astratta, o giuridica, né una entità addizionale o corporativa, ma una “comunione”, in cui l’unità non proviene dalla composizione delle parti, ma dalla presenza “di tutta la vita” del corpo in ciascuna di esse. Nella Chiesa particolare si realizza tutto il mistero della Chiesa in quanto tale.Quando una comunità cristiana, in un determinato punto dello spazio, si riunisce con i suoi pastori per celebrare l’Eucarestia della Pasqua del Signore, essa “è” veramente la Chiesa di Cristo, il nuovo popolo di Dio.
La Chiesa orante che, in Cristo e per Cristo, offre a Dio il sacrificio spirituale, cioè il culto e l’adorazione perfetta in spirito e verità.L’Eucarestia viene, così, a costituirsi come “la nuova azione”, il nuovo “officio”, che il Verbo incarnato, nel e per mezzo del suo Corpo mistico, vivificato dalla Spirito, compie, nella nuova creazione, a lode del Padre.Per il Gréa, quindi, l’ “officio” divino è anzitutto l’ “azione” della comunità cristiana, che, celebrando l’Eucarestia compie la sua “liturgia” per eccellenza: “La Messa è, di tutto l’officio divino, la parte principale dalla quale tutte le altre dipendono, il centro dell’officio della comunità cristiana, il perno intorno al quale esso gravita, dal quale riceve tutti i suoi impulsi e verso il quale continuamente si orienta”.Questo vincolo intimo tra la lode eucaristica e la lode della preghiera liturgica propriamente detta è un pensiero particolarmente caro al Gréa.La realtà profonda della Chiesa si attua, dunque, a livello locale, nella comunità concreta dei discepoli di Cristo, che si riuniscono con i propri pastori a celebrare e ricordare il gioioso evento della Pasqua del loro Signore. Questa celebrazione è soprattutto ascolto delle “meraviglie” operate per loro da Dio nel Figlio suo, a cui fa seguito l’adorazione, la lode, il ringraziamento compiuti nella esaltante certezza della presenza in mezzo a loro del Cristo risorto che, con loro, in loro e per loro, loda e prega il Padre di tutti.Così è nata la preghiera eucaristica e insieme il bisogno profondo di riversare sulla giornata intera attraverso una “preghiera delle ore”, la pienezza traboccante della sua intensità.
Così, con la preghiera delle ore, i momenti fondamentali della giornata, che scandiscono le attività dell’uomo e segnano le tappe del suo procedere nel tempo verso il ritorno glorioso del Cristo, celebrato ogni giorno “finché Egli venga”, sono continuamente immersi nella lode eucaristica e pieni del suo mistero di presenza e di attesa.Come è perenne il sacrificio dell’Eucarestia, così “è perpetuo questo grande sacrificio della preghiera eucaristica”, tutto orientato per natura propria “ad impadronirsi del flusso del tempo, misura della vita umana, distribuendosi nelle varie ore del giorno e della notte”.Nessuna preghiera possiede il valore e la dignità di questa. Don Gréa non nega l’importanza della preghiera privata o di quella in gruppo, sostiene, però, che tali forme di preghiera non raggiungono mai l’efficacia della preghiera liturgica fatta in unione con il vescovo.
Si ha parte a questa preghiera per il fatto di appartenere alla Chiesa. Il diritto-dovere di ogni comunità cristiana e di ciascuno dei suoi membri di esprimere pubblicamente la dimensione orante del Corpo mistico si fonda sul battesimo. Essa è cosa di tutti: “I fedeli vi prendono parte in forza del loro essere cristiani e membri della Chiesa, hanno il diritto di esservi non solo espressamente uniti, ma di attivamente parteciparvi”.I vescovi con i quali il Gréa visse in stretti rapporti di amicizia, i sacerdoti che si formarono alla “maitrise” di Baudin e a contatto con la liturgia vissuta di St-Claude e di St-Antoine contribuirono certo a diffondere l’ideale liturgico del Gréa. Un contributo particolare alla diffusione delle idee del Gréa lo si deve a don Raux, suo discepolo e poi sacerdote nella diocesi di Arras.Martimor insieme a Mons. Jenny e Mons. Martin (quest’ultimo vescovo di Nicolette – Canada – e vissuto per anni a stretto contatto con Gaston Fontaine, De Peretti, Rigaud dei CRIC), membri della commissione liturgica al Vaticano II, introdussero le intuizioni liturgiche più originali del Gréa nella Costituzione sulla Liturgia “Sacrosanctum Concilium”.
Espresse dapprima timidamente nel decreto conciliare, le idee liturgiche del Gréa trovarono uno spazio sempre più ampio nel successivo decreto di applicazione e soprattutto nella Istituzione Generale sulla Liturgia delle ore (cf.: nn. 4, 7, 10, 12, 20-28, 40), grazie anche all’influsso del P. Bugnini che per diversi anni aveva lavorato in collaborazione con il P. Gaston Fontaine. Attraverso quest’ultimo documento le idee del Gréa sono entrate a far parte del patrimonio comune, almeno in teoria se non proprio nella prassi. In fatto di realizzazioni pratiche, si fanno sempre di più strada un po’ dovunque fermenti e tentativi: nelle riunioni di sacerdoti (con o senza il vescovo) si instaura sempre più l’abitudine della preghiera comune fatta con la liturgia delle ore (cf.: Sinodo Romano 1971), negli istituti secolari e nelle comunità religiose non tenute all’obbligo del coro, tentativi per portare il popolo cristiano a pregare con la preghiera della Chiesa si realizzano già in diversi luoghi, specie in mezzo a gruppi ristretti di laici più preparati.Due momenti, ancora, della ricerca del Gréa ci riportano ai contenuti dei documenti conciliari: la sua concezione dell’apostolato missionario e il suo metodo per le formazione dei chierici.
Quanto al primo così si esprimeva: “Anche se nei paesi di missione avessimo fiorenti centri missionari, ma non riuscissimo a costituire un clero indigeno, avremmo fallito nel nostro intento primario”. Preoccupazione missionaria non derivata da spirito di proselitismo, ma dall’alta missione della Chiesa quale “Luce delle genti” e, proprio perché tale, anche “madre e maestra”.Quanto al secondo fu convinto sostenitore, contro il dilettantismo e il criticismo del Rinascimento, della necessità per la formazione del clero di un ritorno qualificato e qualificante alle sorgenti della Bibbia e della Patristica.Le sue principali opere, le sue conferenze, la sua corrispondenza ridondano di citazioni e di riferimenti a questi testi. Tale e tanta era la sua ammirazione ed amore per il sacro testo che ogni anno lo leggeva per intero.