RIFLESSIONI SUL PENSIERO DI DOM GREA
Scopo della relazione: mettere in evidenza alcune delle idee fondamentali di dom Gréa. Idee che orientano il suo pensare ed operare alla ricerca di una via che permetta di unire la vita pastorale dei preti diocesani con lo stato di perfezione integrale, la vita religiosa (giugno 1958)
[1] I. Accenni sulla persona e la sua opera
Dom Gréa nasce nel 1828, viene ordinato sacerdote nel 1856, muore nel 1917, è un uomo del XIX secolo. Epoca generosa, ma priva di originalità, caratterizzata soprattutto da un’attività di “restaurazione”…con riferimenti storici parziali e spesso inadequati. Dom Gréa storico, allievo dell’”Ecole des Chartes”, originale nel modo di pensare, si rivela tuttavia mediocre nella sua interpretazione della storia. E’ un pensatore originale, mosso più da intenti di ordine mistico che storico. Per lunghi anni meditò sul mistero della Chiesa. La sua opera: “De l’Eglise et sa divine Consitution” è del 1885. Lontano dalle esposizioni dei catechismi e dei libri di teologia del suo tempo, vede la Chiesa non come un’organizzazione, ma un mistero, una sorgente di vita e pertanto la gerarchia risulta non una realtà giuridica, ma una comunione di doni, mistero della presenza di Dio e del suo operare nel mondo. La costituzione della Chiesa è gerarchica, sia perché istituita da Cristo, sia perché in essa la vita divina è a noi comunicata dai “gerarchi”, dal Sommo Pontefice, Vescovo di Roma, gerarca della Chiesa Universale, segno vivente di unità e vicario di Gesù Cristo; dai Vescovi, sui fratelli, che con lui hanno la responsabilità della Chiesa Universale, ognuno dei quali, però, nella Chiesa particolare rappresenta il Padre, sorgente di vita.
II. Le intuizioni di dom Gréa
Per dom Gréa (ma anche nella realtà…) la gerarchia non è solo un’organizzazione, ma una comunione di doni. Per dom Gréa il Vescovo è l’archetipo perfetto, l’esemplare della Chiesa (particolare) e sorgente di ogni bene. Le funzioni del Vescovo rimandano ora all’uno ora all’altro di questi aspetti. a. Nel Vescovo, che possiede la pienezza del sacerdozio, c’è una VOCAZIONE o FUNZIONE CONTEMPLATIVA. Qualora in una Diocesi, in una Chiesa Particolare non si tenesse in debito conto il carattere contemplativo del sacerdozio del Vescovo, insieme a quello apostolico, questa mancherebbe di qualcosa. Dom Grèa si chiede se la scomparsa delle Collegiali dei capitoli di Canonici, testimonianza esterna e visibile della vita contemplativa radicata in mezzo agli stessi fedeli, nello stesso tempo non sia la causa e la conseguenza della scristianizzazione del nostro tempo. b. Altro aspetto della pienezza del sacerdozio del Vescovo: questi è e deve essere un “PERFECTOR”. Il Vescovo, essendo costituito nello stato di perfezione in virtù della sua consacrazione episcopale, ha tra i suoi compiti primari quello di SUSCITARE dei PERFETTI, ed essendo la Chiesa una società, di suscitare dei SOSTENITORI degli STATI di PERFEZIONE. Il Vescovo ha la responsabilità della santità della sua Chiesa, dei suoi collaboratori e dei suoi fedeli. Il Vescovo sarà di sprone per i più stretti suoi collaboratori, come anche dei fedeli, perché siano perfetti e abbraccino lo stato di perfezione, la consacrazione piena. I suoi sacerdoti non dovranno solamente avere lo spirito della Vita Religiosa ( comportandosi il meno possibile da secolari: onori… carriera… beni… regime beneficiario), ma dovranno in quanto tali realizzare lo stato organizzato e organico, sociale, della vita religiosa visibile e istituita. c. inoltre per Dom Gréa l’EMINENTE VALORE della VITA RELIGIOSA è una ricchezza per i cristiani, ma ancor più per i sacerdoti, stretti collaboratori del Vescovo. Dom Gréa cita spesso un detto di un canonista francese del XIX secolo: “SAECULARITAS, CLERICIS NON EST PRAECEPTA, SED PERMISSA”. Dom Gréa preferirebbe dire “tollerata”, “appena e deplorevolmente tollerata”, “autorizzata”, “lecita”… e considera la vita religiosa integrale in perfetta sintonia con gli impegni e la missione del sacerdote, ministro del Vangelo e del Corpo di Cristo. Risulta per lui inconcepibile che uno perché religioso debba lasciare la sua diocesi. Anzi il clero ordinario stesso ha bisogno della Vita Religiosa. Infatti, la storia, secondo dom Gréa, ci insegna che la prima cristianità di Gerusalemme viveva una vita comunitaria, quella che il Medio Evo chiamerà “vita apostolica”. Così pure le comunità d’Eusebio da Vercelli, di S. Agostino… del “presbiterio” episcopale, che durante il Medio Evo, costituirà per il Vescovo il suo sostegno, il suo organismo, il suo prolungamento… e che formerà le Comunità di Canonici, prima che, per effetto del rilassamento dei costumi, si arrivi alla divisione dei canonici tra secolari e religiosi (divenendo questi ultimi più o meno degli ordini religiosi distaccati dalla Chiesa Particolare per continuare a vivere)[2]. Per dom Gréa anche nel PRESENTE della Chiesa, come già nel passato, si deve arrivare all’unione tra la vita clericale e quella religiosa. Per dom Gréa infatti molti sacerdoti pensano – fatto del tutto anomalo – che l’aspirazione alla vita religiosa costituisca un impedimento per lo svolgimento del normale ministero pastorale e dell’essere collaboratori di un Vescovo. I fatti lo dimostrano: il clero religioso normalmente è il clero del Papa, alle dipendenze del Papa; mentre le funzioni della Chiesa Particolare vengono esercitate, in linea di massima, da non religiosi. Secondo dom Gréa non si deve passare dal fatto al diritto e si auspica quindi che nuovi avvenimenti portino nuovamente in auge, ritornando alla tradizione, il clero religioso del Vescovo e servano così da presupposto per una revisione del Diritto positivo. Dom Gréa è completamente preso dall’entusiastica visione di un AVVENIRE meraviglioso, le cui premesse sono già nel presente: il clero diocesano, tutto o in parte “religioso”, per opera delle comunità di Canonici Regolari. Era, infatti, profondamente convinto del ritorno, in un futuro più o meno prossimo, al “presbiterio” (“presbiterio” non “équipe”) con tutte le sue componenti, dove ciascuno operando secondo i diversi gradi del Sacramento, contribuisce al formarsi di una cellula della Chiesa gerarchica, nella Chiesa Particolare, come questa nella Chiesa Universale. d. Dom Gréa è profondamente convinto che tra i compiti primari del Vescovo ci sia quello di PROMUOVERE la PENITENZA. Infatti anche la penitenza, come la lode divina, ha un carattere sociale: da qui la sua insistenza sul dovere del Vescovo di promuovere, conservare, difendere il digiuno tra i suoi “perfetti”. La sola penitenza interiore o individuale non può essere sufficiente per la vita e la conversione dei popoli.
III. Una prima valutazione
Essendoci proposti di evidenziare solo le intuizioni fondamentali del pensiero di Dom Gréa ne abbiamo consapevolmente tralasciate altre. Ora non ci resta che presentare alcune considerazioni. a. Ogni uomo, per necessità di cose, non può che avere, giusta o sbagliata che sia, una visione “PARZIALE” delle cose e pertanto incompleta, cosa ancor più evidente quando si ha a che fare con un uomo di genio. Dom Gréa va considerato un vero genio religioso. Oggi si direbbe un “profeta”. Il suo modo di leggere la storia è contestabile e personale. Ma altrettanto incontestabile è il suo amore per la Chiesa, il suo sentire (è la parola esatta) profondo e sagace della Chiesa Particolare, della consacrazione a Dio e dello stato religioso nella vita sacerdotale. Anche se spesso si immerge nella contemplazione di un passato più immaginario e idealizzato che reale, tuttavia rimane l’intellettuale, il teologo, lo spirituale le cui intuizioni possono gettare luce sul presente e sul futuro, senza con ciò pensare alla restaurare in un modo più o meno fedele o archeologico di un Medio Evo da sogno, di pseudo-tempi di una cristianità passata. b. Il suo pensiero può contribuire a riscoprire e ripristinare il tradizionale modo di considerare la vocazione religiosa nella vita della Chiesa. Vita religiosa non fatta solo per le donne, per i sacerdoti chiamati a fondare chiese in terra di missione, o a essere di aiuto alle chiese locali (clero della Chiesa Universale), ma per ogni prete, soprattutto per coloro i quali vengono considerati come “la fanteria” della Chiesa, quella radicata sul territorio, il clero diocesano. c. Tutto ciò è utopia? Utopista non è colui che sogna una chimera, ma uno che nutre un progetto concreto. Anzi, spesso l’utopia, soprattutto se frutto di una meditazione spirituale e teologica, porta in sé la realtà del domani. d. Grandi passi in avanti sono stati fatti. Attualmente i nostri Vescovi francesi non sono più i prefetti in viola dei tempi passati. Sono e vogliono essere la sorgete della Evangelizzazione e della santità dei loro preti e dei loro fedeli. Si escogitano nuove strade per la realizzazione delle aspirazioni comunitarie e religiose: istituti religiosi, istituti secolari, unioni sacerdotali, comunità diocesane, ecc… non si tratta quindi di iniziare dal nulla, anche se molto rimane ancora da fare… e da pensare. e. Forse per le istituzioni dei Canonici Regolari non è detta ancora l’ultima parola. Non si potrebbe forse pensare che nella loro situazione attuale in parte estra-diocesana o sopra-diocesana (situazione che ha loro permesso di continuare ad esistere per lungo tempo in mezzo a Vescovi troppo secolarizzati: che sono dieci secoli nella storia della Chiesa)? non si potrebbe forse pensare che anche per queste venerabili istituzioni sia arrivato il momento di ripartire su nuove basi, e, qualora se ne presentasse la necessità, forse morire per rinascere su fondamenta più stabili? Forse con dom Grèa si è solo all’inizio di un discorso che deve protrarsi nella Chiesa e tra gli uomini di Chiesa! R.P. Louis de Peretti, Superiore Generale (1957-1976)dei Can. Reg. dell’Imm. Conc.(Il presente articolo è stato pubblicato su “le courrier de Mondaye”, n. 63, 1960, pp.32-35).
[1] Questa è la data riportata nel manoscritto. cf. archivio cric titolo 10/6 [2] Senza dubbio ci si trova di fronte ad una costruzione schematica e idealizzata della storia, ma nostro intento è quello di esporre il pensiero di dom Gréa, non quello personale).